domenica, gennaio 20, 2008

Come e' lontana l'italietta vista da qui (Disneyworld)




Un cardiologo premiato grazie a una tessera di partito. Non è reato. Un ginecologo sostituito solo perché la sua casacca non coincide con il colore (pro tempore) del potere locale. Non è reato. Attenzione però, perché anche i «non reati» possono talvolta produrre valanghe emotive di rigetto nell'opinione pubblica avvelenata. Come nel '92. Peggio del '92. Mastella e lo stato maggiore dell'Udeur campana facciano un giro, se ne hanno tempo e voglia, sui blog che infiamano il variopinto arcipelago internettista. Troverebbero una ferocia senza limiti, un disprezzo radicale per la politica, parole di una violenza inusitata. Per carità, sono solo blog: spesso sboccati, sconclusionati, culturalmente e psicologicamente border line, attrezzati a soffiare sui miasmi più beceri e qualunquisti dell'antipolitica. Ma segnalano che, anche se non sono reati, la lottizzazione sistematica dei camici bianchi e l'occupazione totale della sanità da parte della politica riescono a scatenare reazioni ancor più rabbiose e risentite di quelle che affiorerebbero in presenza di un reato conclamato.
Possibile che sia accettata come prassi normale, consueta, persino ovvia che non solo nell'amministrazione di una Asl e nel viavai dei primari d'ospedale, ma persino, come in parte appare nelle carte emerse nell'esplosione del caso Campania, tra i cardiologi, i ginecologi, i pediatri prevalga un criterio lottizzatorio tanto capillare e pervasivo? E' possibile accettare su un tema tanto delicato come la salute dei singoli e delle famiglie che qualsiasi criterio di talento, capacità, esperienza professionale sia penalizzato a favore dell'affiliazione di partito, dell'appartenenza politica, del rapporto stabilito con i poteri locali? Non è reato, ma lascia interdetti. E' solo una prassi abituale e non una faccenda da codice penale, ma fa imbufalire anche il cittadino più mite e poco incline ai furori dell'antipolitica. Come nel '92, appunto. Anche allora, all'inizio, si minimizzò, si invocò l'attenuante del costume generalizzato, il diffondersi di una prassi che sembrava ovvia, normale, persino accettabile. Ma la ghigliottina giudiziaria trovò un terreno molto accogliente in una rabbia compressa contro i partiti che occupavano tutto, lottizzavano tutto, si comportavano dappertutto come padroni onnipotenti.

La piazza, sentendo l'odore del sangue e l'ebbrezza della decapitazione, cominciò ad adorare i giudici come angeli vendicatori, strumenti provvidenziali di una cruenta rappresaglia da attuare nelle aule dei tribunali e non con i mezzi messi a disposizione dalla democrazia. Finì come finì, con l'eccitazione giustizialista che non sapeva più distinguere tra reato e costume, tra fatti penalmente rilevanti e consuetudini ampiamente consacrate dall'uso. Oggi ci si attesta su un'analoga trincea. L'evidente eccesso giustizialista che connota l'inchiesta anti-Mastella (quasi stravagante se non contenesse un evidente malanimo nei confronti del «nemico» politico) suscita nella classe politica un riflesso autodifensivo che si appella al costume per rivendicarne l'irrilevanza penale. È in effetti così: la lottizzazione è un costume trasversale che rende semplicemente ovvia la presenza invasiva dei partiti in ogni ente pubblico regolato secondo il criterio delle nomine politicamente stabilite. Ma forse il ginecologo lottizzato è un po' troppo. E questo «troppo» può essere la scintilla che accende il furore, che alimenta e determina l'accecamento antipolitico di chi non aspetta che un segnale per saltare addosso ancora una volta sugli odiati partiti: come quando nella febbre di Tangentopoli la piazza si elettrizzava per la politica in manette. Un disgusto che, stavolta, non risparmia nessuno, non distingue tra gli schieramenti. Anche se non c'è reato. Anche se è solo ordinaria lottizzazione, costume, e malcostume. Non sarebbe il caso di trovarne un altro?