Sapeva così bene di amarmi che supponeva - ed è sempre un tragico errore - che chi amiamo sia tenuto a saperlo anche se non glielo diciamo.
Stamattina, alle 5 e 10, mi sono chiesto se avevo dormito o era stato un sogno. Avevo i pugni chiusi con i palmi al cielo, sul guanciale. E' così che dormono i bambini o i condannati innocenti. Non sono né l'uno né l'altro.
Avevo circa otto anni, era d'estate. I miei mi avevano parcheggiato da una zia, che aveva quattro figli, tutti più piccoli di me, e l'ultimo ancora nascosto in quella sua pancia piccolissima. Questa zia bruciante d'amore per i figli aveva un corpo minuto, ed io, a otto anni, ero già più alto di lei. Quell'agosto mia madre, una sera torbida, passò a trovarmi; ma fece più feste alla zia. Aveva un regalo per tutti i quattro figli della zia, uno addirittura per quello non nato. "E a me?" chiesi, sicurissimo che la parentela più stretta con la mamma mi avrebbe assicurato il giocattolo stupefacente. "Gesù", fece lei, "per te non ci ho pensato. Comunque ne hai già tanti a casa." Incassai, come se fosse normale; dissi "Ma io scherzavo, mamma", e m'incuriosii, gentile ma distaccato, ai regali degli altri, come se fossi un adulto, non un bimbo, ma un altro zio. Ricordo che zia ci aveva apparecchiato il salotto come una camerata: cinque lettini con le sbarre uno a fianco dell'altro. Dopocena ci infilarono i pigiamini, e mia madre disse: "In valigia ho il regalo più bello. Sai?" aggiunse rivolta alla zia, "devo dire la verità, a me i bambini piacciono fino ai cinque-sei anni, poi non più. Come sono teneri quando dormono con i pugnetti alzati!" Ci squadrò, dal più piccolo al più grande. I miei cuginetti sembravano una scatola di fiammiferi ed io la pipa. Mia madre disse: "Facciamo un gioco. Stanotte, quando dormirete, verrò a controllare come state dormendo. E chi dorme con i pugnetti sul cuscino, avrà il regalo segreto." E stamattina mi sono ricordato la luce della cucina che filtrava sotto la porta del salotto-camerata. I bisbigli di mia madre e mia zia. E intanto, nella penombra, spiavo i cuginetti: chi riverso di fianco, chi si era addormentato con la testa al posto dei piedi, il minuscolo aggrappato al suo orso, ma quello di cinque anni russava leggero, con i minuscoli pugni trionfanti sul cuscino, in pole position. Di là, in cucina, mamma non la finiva mai di parlare. Io, intanto, lottavo contro i morsi del sonno, con i pugni schiacciati sul guanciale, e bene in vista. Dal piano di sotto, salì la nonna Giuditta. Ma io ero già sveglio e resistevo, i pugni come bandiere. Finalmente la porta si schiuse, e vidi l'ombra grossa di mia madre. Controllava, da una sbarra all'altra, chi era il bambino da amare. Io tenevo gli occhi strizzati come i pugni. Mamma passò oltre dicendo "Tu sei sveglio." Credo lo fece per un senso di giustizia; sapeva così bene di amarmi che supponeva -ed è sempre un tragico errore- che chi amiamo sia tenuto a saperlo anche se non glielo diciamo; io pensai solo che avrei voluto essere un figlio della zia. Poi scoprì il bimbo perfetto, premiò la capocchia di mezzo, e gli pose il misterioso dono sotto il guanciale. Infine la porta si chiuse, la luce si spense, ed io piansi di vergogna e di abbandono. Mi sentivo rifiutato ma colpevole, vittima e carnefice, e già troppo grande per essere amato. Mi coricai sulla pancia, come mio solito, ma poi sentii un rumore curioso, come di carta di caramelle nel silenzio teso di un cinema. Il vincitore, il mio cuginetto Andrea, era più sveglio di me, e mi fece l'occhiolino, mostrandomi, con un sorrisino beffardo, il regalo che tutte le estati chiedevo senza successo a mia madre: una barchetta a pile, una di quelle che puoi mandare avanti sulle onde, in quegli orizzonti avventurosi che cominciano a dieci metri dalla riva, in quel luogo mai fermo, spumeggiante e inaccessibile per un bambino che è il mare dove "non si tocca".
Infiniti anni dopo, una sera che avevo invitato mia madre in quella pizzeria di dove andavamo a mangiare la domenica, le raccontai i retroscena di quella notte d'infanzia. Scosse i capelli bianchi, la liquidò come una storiella senza importanza.
Disse solo "Si vede che Andrea era più furbo di te. Infatti adesso lavora in banca." Quella della banca, per mia madre, era una fissa. Divideva il mondo in due: i bancari e tutti gli altri, quelli che non sai mai come andranno a finire.
Oggi mi guarderebbe come fossi scemo. Perché oggi metto il punto, senza riscuotere gli interessi. Invece di mettemi in banca, all'infinito.
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