martedì, maggio 30, 2006

Per te ( e poi di che non scrivo mai)

Come i gay e la panna. Come la cosa. La cosa che ti dilania il fegato e lentamente sviene in un aldilà di parole fluttuanti. Come te che ti rialzi. Come noi, che si viaggia per estremi senza ammainare mai una bandiera, senza uno squarcio di emozioni latitanti. O perseveranti. Come te. I tuoi stivali e la tua bolletta, l’ovvietà di un imbarazzo impercettibile mascherato da chissà quale buffa faccia notturna ed indipendente, sempre in viaggio, in forma smagliante, accaldata da un frastuono emorocktivo di un palpitante e buio lago apprendista in erba. Una mano, tutti per me quei baci che nella confusione sfrecciano in bagliori di quinte diminuite, nel tempo troppo aggressivo, infame, incauto e puntuale come un numero di cellulare da cambiare o sacrificare alla condivisione impossibile, o perlomeno non totale, questo concedimelo. Perché non ne sono capace, perché troppo egoista, spaventato o semplicemente stupido ed impaziente. Amici di troppe serate silenziose, di anime mangerecce ed ingorde di segni da lasciare, una scia da fiutare ed interpretare per il rinnovamento concettuale di società open source, per un’utopia sensuale, un credo evangelico di un messia errante a cavallo di un tempo inospitale. E’ troppo! No, non quando non sai più chi sei e ti vaccini al dolore di un mondo a puttane per l’imperterrita mania di volerci capire qualcosa. Di doverci capire qualcosa. E di non saperci fare con le donne, come nemmeno loro credono, non è un problema: perché non esiste. Scappare, ritornare, ripartire presuntuosi d’amore, della cosa, di un sacrificio indispensabile nell’attimo fuggente dell’idea: questo non lo si può giudicare, nessuno può permettersi di giudicarlo. Nessuno. Semplicemente perché la chimica, a volte, è più potente e non si limita ad osservare, deve annientare per ricostruire. E’ un processo non soltanto umano, è vita, di qualsiasi forma e colore. Di sculacciare la mia Estia affogandone il sacro fuoco non se ne parla nemmeno, non è il modo giusto d’iniziare, per me, da qualche istante ammanettato ad un letto di spine, cieco, con una rosa danzerina tatuata nell’eterna rassegnata e magmatica oscurità. Chi preferisce la sordità perché comunque il vento non lo può afferrare, nemmeno saprà stupirsi delle evocazioni autoconsolatorie di remote felicità sprigionate da questo altoforno d’informazione incontrollata che potrebbero contaminare un paesello insipido. Che insipido non è, dovremmo accontentarci ed inebriarci di quelle risa in un’ora soltanto di onde elettromagnetiche impazzite. E riacciuffare una foto poco in forma persa o dimenticata chissà dove e chissà quando nei labirinti di qualche chip in overdose di distrazione. O distruzione. Come quella che meriterei invece del tuo misterioso affetto che quasi sfuggo ululando perchè credevo fosse solo un sogno fortissimo e goloso, geloso della sua casetta di marzapane e del camino di cioccolata. Come te. Come noi. Concettuali e mangerecci.

5 Comments:

Anonymous Anonimo said...

GRAZIE CRI!!!!
MA CHE FINE HAI FATTO!!!

4:21 PM  
Blogger Cri said...

Perche', perche'....perche'? Non so perche'..

Sono fatti miei!!!

12:45 PM  
Anonymous Anonimo said...

bella risposta....va beh.
ti scrivo e neanche rispondi.

4:47 PM  
Blogger Cri said...

Rispondi a cosa????

ma se non so nemmeno chi sei?????

4:58 PM  
Anonymous Anonimo said...

SCUSA MA CHI VUOI CHE SIA??????SE L'ARTICOLO CHE HAI SCRITTO è X ME ...SONO IO!F

3:50 PM  

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